da Il Sole 24 Ore
di Giuliana Licini
I Paesi con la maggiore mobilità sociale sono tutti europei e al ‘top’ assoluto ci sono le nazioni nordiche. In Italia, invece, l’ascensore sociale è alquanto arrugginito e la Penisola è in coda rispetto ai principali Paesi industrializzati, anche a causa di una scuola dove «manca la diversità sociale» e di scarse opportunità di lavoro, soprattutto per i giovani, tra cui abbondano i Neet.
Gli effetti sul Pil
Nel suo primo rapporto annuale sulla mobilità sociale, il World Economic Forum sottolinea che in una società capace di offrire a ciascuno pari opportunità di sviluppare il proprio potenziale, a prescindere dalla provenienza socio-economica, non solo ci sarebbe più coesione sociale, ma si rafforzerebbe anche la crescita economica. Un aumento della mobilità sociale del 10% spingerebbe, infatti, il Pil di quasi il 5% in più in 10 anni, indica lo studio pubblicato alla vigilia del summit annuale del Wef a Davos. Sono ben poche, tuttavia, le economie che hanno le condizioni giuste per favorire la riduzione delle disparità e l’inclusione. Le chance di una persona nella vita sono sempre più determinate dal punto di partenza, cioè dallo stato socio-economico e dal luogo di nascita. Di conseguenza le disuguaglianze di reddito si sono radicate e le classi sociali sono “ingessate”.
La mobilità sociale
Lo studio misura 82 economie in cinque dimensioni determinanti ai fini della mobilità sociale, ovvero salute, scuola (accesso, qualità ed equità), tecnologia, lavoro (opportunità, salari, condizione), protezioni e istituzioni (protezione sociale e istituzioni inclusive). Il “Global Social Mobility Index” assegna il primo posto alla Danimarca (con 85 punti), seguita da Norvegia, Finlandia, Svezia e Islanda. A completare la rosa dei primi dieci sono l’Olanda, la Svizzera, l’Austria, il Belgio e il Lussemburgo. Tra le economie del G7, la Germania è la più mobile socialmente (11esima, con 78,8 punti), seguita dalla Francia (12esima). Il Canada (14esimo) precede il Giappone (15esimo), il Regno Unito (21esimo), gli Stati Uniti (27esimi) e, infine, l’Italia, che è 34esima, preceduta anche da Portogallo (24esimo) e Spagna (28esima). Nell’indice di mobilità sociale, la Penisola ottiene un punteggio di 67, con cui supera di poco Uruguay, Croazia e Ungheria e resta alle spalle di Cipro, Lettonia, Polonia e Repubblica Slovacca. L’Italia segna la sua migliore performance nell’ambito della salute, con 90 punti, potendo contare sul nono posto per la qualità e l’accesso alla sanità e sul quarto posto per l’aspettativa di vita.
Indietro per l’istruzione
In termini d accesso all’istruzione, qualità ed equità, il nostro Paese da un lato gode di un buon ratio studenti-insegnanti, dall’altro – rileva il rapporto – da «una mancanza di diversità sociale» nelle scuole, che non favoriscono cioè l’inclusione tra ceti diversi. Un’annotazione che pare trovare riscontro anche in recenti fatti di cronaca, che hanno sollevato l’accusa di scuola “classista”. Tra i punti deboli anche l’alta percentuale di inattivi (Neet, né al lavoro né in formazione) tra i giovani (quasi il 20%) e le limitate possibilità di formazione continua, che limitano le opportunità di apprendimento per i lavoratori. Solo il 12,6% delle aziende – sottolinea il rapporto – offre una formazione formale e per i disoccupati è difficile accedere a corsi per migliorare le competenze. Tra le aree su cui intervenire figura, ovviamente, quella delle opportunità di lavoro, dove l’Italia è al 69 posto, penalizzata dagli alti livelli di disoccupazione. Tornando alla classifica, tra le principali economie emergenti, la Federazione Russa (39esima) è la più mobile socialmente nel gruppo dei Brics. La Cina è 45esima, davanti a Brasile (60esimo) e India (76esima).
L’ascensore sociale bloccato
L’ascensore sociale è lento, se non inceppato, in molti Paesi. In Danimarca servono due generazioni per passare da una famiglia a basso reddito a un reddito medio, in Italia e negli Usa si arriva a cinque, in Brasile e in Sud Africa a nove. Secondo il rapporto, l’economia che ha più da guadagnare da un aumento del 10% dell’indice di mobilità in 10 anni che porterebbe in dote quasi il 5% del Pil in più è la Cina, con 103 miliardi di dollari di crescita-extra l’anno, cioè più di 1.000 miliardi in un decennio. A seguire gli Usa, con 87 miliardi l’anno (e 877 mld in un decennio), ma da una maggiore mobilità sociale trarrebbero grandi vantaggi economici anche l’India (quasi 430 miliardi in 10 anni), il Giappone (240 mld), la Germania (185 mld), la Russia (178 mld), l’Indonesia (145 mld), il Brasile (145 mld), il Regno Unito (130 mld) e la Francia (126 mld). Per l’Italia il beneficio si tradurrebbe in 10,2 miliardi di dollari di Pil in più ogni anno, cioè 102 miliardi in 10 anni.
I suggerimenti del Wef
Per far ripartire l’ascensore sociale, il rapporto consiglia, tra le altre misure, di rafforzare la progressività delle tasse sui redditi, riequilibrare le fonti di tassazione, introdurre politiche che contrastino la concentrazione di ricchezza, puntare sull’istruzione e sulla formazione continua, migliorando la disponibilità, la qualità e la diffusione dei programmi educativi. Sarebbe poi necessario offrire una protezione a tutti i lavoratori, indipendentemente dal loro stato occupazionale, in particolare nel contesto del cambiamento tecnologico e delle industrie in transizione. Le aziende, dal canto loro, dovrebbero avere un ruolo guida, promuovendo una cultura di meritocrazia nelle assunzioni, fornendo formazione professionale, migliorando le condizioni di lavoro e pagando salari equi. Tutto qui.